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Roma : Sur, 2024
Abstract: Estela ha passato sette anni in quella casa, con quella famiglia. Sette anni come domestica a tempo pieno: lavare, pulire, preparare da mangiare, occuparsi della bambina, la piccola Julia. Ora Julia è morta e tocca a lei – la domestica, la tata – dare la propria versione della storia. Raccontare per esempio di come ha lasciato la vita in provincia per tentare fortuna a Santiago, di come ha lasciato sua madre; raccontare della stanza sul retro dove ha dormito per tutto questo tempo, quella senza finestre; raccontare della bambina, delle unghie rosicchiate, delle pellicine sanguinanti; raccontare il disgusto e insieme l’affetto per i suoi datori di lavoro, le umiliazioni costanti; raccontare dei panni puliti, dei denti puliti, della faccia pulita; raccontare di Carlos, della cagnolina randagia, del veleno, della pistola. Alia Trabucco Zerán ha scritto un romanzo sui conflitti di classe, il denaro, la famiglia, la rabbia. Una storia in cui la tensione cresce a ogni pagina per portarci a un finale inevitabile e potentissimo, che mostra come per chi non ha voce una semplice vita di routine può trasformarsi in un incubo. Forse, come dice Estela: «Ci sono molti modi di parlare. La voce è solo il più semplice».
11 novembre 2025 alle 08:55
È un libro capace di coinvolgere fin dalle prime pagine, non solo per il contenuto, ma anche per una scelta stilistica che porta la protagonista a rivolgersi direttamente ai lettori, interpellandoli continuamente, quasi avesse bisogno di conferme, di essere certa che qualcuno l'ascolti. La narrazione in prima persona diventa così una confessione intima, in cui Estela rende partecipe il lettore dei suoi stati d'animo, della sua rabbia per ciò che è costretta a subire e della tenera nostalgia per il proprio paese e, soprattutto, per la figura materna. La scrittura è semplice, colloquiale, molto piacevole e riserva anche dei momenti più lirici, in cui l'autrice Alia Trabucco Zerán porta alla luce delle bellissime, anche se taglienti, considerazioni sulla realtà. Sembra che il finale non riservi sorprese, visto che fin dall'inizio Estela rivela la triste scomparsa della padroncina, ed in effetti è sincera, ma non si ferma qui... L'epilogo è comunque investito dalla sua reazione ad un fatto tragico e, questa, non viene svelata. Eppure posso dire che è la parte che mi è piaciuta meno: l'ho trovata molto confusionaria, ambigua e mi ha un po' delusa, perché non sono riuscita a comprenderla appieno. La trama è arricchita da alcuni salti temporali nel passato, alcuni flashback che rievocano i ricordi dell'infanzia di Estela, alcuni episodi importanti che l'hanno segnata o alcuni gesti della madre che evocano tanta tenerezza. Non mancano poi i colpi di scena. Vi sono diversi temi che il libro tocca, io ne ho individuati soprattutto due che riecheggiano in tutto il libro. Innanzitutto il sentore di morte, preannunciata fin dalle prime righe, che per quanto possa fare paura, viene vista anche come un mezzo per porre fine alla sofferenza. E poi il continuo rimando alla differenza di classe tra la borghesia dei padroni e la condizione inferiore di Estela, ridotta esclusivamente al suo ruolo di domestica. Si tratta di una borghesia asettica, povera di sentimenti, assorbita dalla carriera e dall'apparenza, da non avere tempo per una figlia considerata alla stregua di un oggetto bellissimo e fragile, a cui imporre le proprie scelte, senza purtroppo curarsi dei suoi desideri. Il risultato di tutte queste costrizioni è una bambina profondamente infelice... Ed allora entra in gioco Estela, che invece non è refrattaria ai sentimenti e sebbene ci provi non riesce a scindere il lavoro dall'affetto e a questa bambina vuole bene. Ma come le ha mostrato più volte la madre non ci può far nulla, lei è fatta così. Un libro drammatico, che mi è molto piaciuto e che mi ha amareggiata un po' solo nel finale.
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