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Col buio me la vedo io
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Mallamo, Anna

Col buio me la vedo io

Torino : Einaudi, 2025

Abstract: Lucia ha sedici anni e un cognome – Carbone – che spegne il suo nome, «come il nero e la luce, come la rabbia e l’amore». Del resto, ogni cosa sembra presentarsi doppia ai suoi occhi: maschile e femminile, ad esempio, o corpo e mente. E, soprattutto, il mondo di sopra, quello che abita ogni giorno con la sua famiglia, e il mondo di sotto: la buia cantina in cui ha rinchiuso Rosario dopo averlo rapito. In questo libro magnetico tutto è imprevedibile, perché tutto, proprio tutto, matura nell’immaginario di un’autrice che ha molto da dire e un modo originalissimo per farlo. Reggio Calabria, primi anni Ottanta. La sedicenne Lucia Carbone, studentessa del liceo classico, sequestra un compagno di scuola e lo imprigiona nello scantinato della casa della nonna morta da pochi mesi. Il ragazzo, Rosario Cristallo, è figlio d’un boss dell’Aspromonte, e Lucia lo ha rapito per due buone (o cattive) ragioni: la prima è che la sua migliore amica ne è innamorata, e vuole tenerlo lontano da lei, la seconda è che forse Rosario sa qualcosa sull’assassinio di una zia amatissima. Mentre fa visita ogni giorno al suo prigioniero, la vita di Lucia prosegue apparentemente come al solito: in famiglia – col padre, la madre e il fratellino Gedo –, nel quartiere e a scuola, dove Lucia si innamora di Carmine, un ragazzo dei quartieri alti. Reggio, intanto, città ferita che esce dalla prima guerra di ’ndrangheta, è teatro degli scontri tra il Fronte della Gioventù e il Collettivo studentesco: c’è una sorta di violenza diffusa, che prende strade diverse. E la violenza è anche nei gesti quotidiani di Lucia, e nelle cose, ad esempio in quel coltello rosso che si ritrova tra le mani quando scende nel mondo di sotto, dove c’è il suo segreto. Fino a quando ogni cosa si capovolge, il sopra e il sotto si confondono come tutti gli opposti, e lei matura una decisione inaspettata. “Col buio me la vedo io” è un romanzo che costruisce un universo a poco a poco, con forza, coerenza e una fantasia sbalorditiva, ricco di pagine da incorniciare, come quelle in cui una madre e una figlia piegano le lenzuola calibrando i gesti in una sorta di duello western. Ed è anche un libro sulla giustizia e sul Sud lontanissimo da tutti i clichés: quando usa il dialetto (sempre con parsimonia) non è mai per un effetto di colore ma per cercare a tentoni l’unico senso possibile. Perché il dialetto si può usare «per schermare o per chiarire, è la lingua dei grandi, funziona in tutti e due i modi». E il cibo è soprattutto uno strumento di potere e di controllo: «Se ti sfamo sei salvo, e sei mio». Il modo che ha Anna Mallamo, concreto e immaginifico insieme, di ruotare intorno ad alcuni temi – famiglia, verità, donna, confine, casa –, riaggiornando via via le definizioni nel corso della storia, vi resterà a lungo addosso.

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Utente 10129
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È un romanzo fortemente radicato nella terra calabrese e ne emergono chiaramente tradizioni, usanze, modi di fare che si tramandano da madre in figlia. Riaffiorano così nella protagonista, che è la voce narrante del libro, teneri ricordi di bambina che vanno a toccare tutti i sensi, con profumi e gusti, oltre a vivide immagini del passato. Bellissima la descrizione del rituale del piegamento delle lenzuola, che sembra un balletto silenzioso tra madre e figlia. Al centro della narrazione emerge sicuramente la famiglia, di cui vengono date numerose ed interessanti definizioni, sottolineando come la storia dei genitori non possa non ricadere sui figli e chi viene dopo di loro; un lascito da cui non ci si può sottrarre, sia nel bene che nel male. Si parla di donne che si tramandano i nomi, che comandano dando l'illusione di essere comandate, che riconoscono l'importanza di nutrire e che sanno che il sangue unisce e protegge. È un libro molto profondo, introspettivo e pieno di sentimento. Si parla anche di amicizia, quel legame profondo che unisce anche persone diverse tra loro, che si completano e si sostengono, oltre a scegliersi. Si parla di morte e di morti, che continuano a rivivere in chi li ricorda ed i cui oggetti, come la casa in cui si è vissuti, ne conservano l'anima. E si parla di malavita, di sangue, di faide, ancora così presenti nel sud Italia. L'autrice Anna Mallamo ci regala uno spaccato di vita autentico e lo fa con una scrittura ricercata, a tratti poetica, con una punteggiatura che scandisce bene il ritmo, ma che non risulta di così semplice lettura. Vi sono numerosi termini ed inflessioni dialettali, non sempre facilmente comprensibili. La narrazione è molto lenta, a volte ripetitiva ed un po' ridondante, e non così fluida. Molto interessante e con una svolta inaspettata l'epilogo che porta alla luce dei segreti, quelle "cose rotte" che rimangono nascoste, come un iceberg che cela le sue insidie. Molto bello anche il contrasto tra la luce calda che illumina la terra calabrese ed il buio dello scantinato che imprigiona Rosario, questo buio che si insinua nel presente e con cui ci si deve confrontare inevitabilmente. Una lettura meritevole anche se impegnativa.

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