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Abstract: È anonimo l'autore che, nel 1829, dà alle stampe questo piccolo, gigantesco libro. Ma è inconfondibilmente Victor Hugo. Sono anni in cui il progresso sembra trasportare l'umanità intera, sul suo dorso poderoso, verso un futuro di pace, prosperità, ricchezza e fratellanza. Ma negli stessi anni si tagliano ancora teste davanti a un pubblico pagante, si marcisce in carcere, ci si lascia morire per una colpa non sempre dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio. Hugo parla a nome dell'umanità, come sempre, e lo fa attraverso la voce di un uomo qualunque, di un condannato qualunque, di un miserabile che rappresenta tutti i miserabili di tutte le nazioni e tutte le epoche. Un crimine di cui non conosciamo i dettagli lo ha fatto gettare in una cella. Persone di cui non conosciamo il nome dispongono della sua vita, come divinità autoproclamate. Un'angoscia di cui conosciamo fin troppo bene la lama lo tortura, giorno dopo giorno, e gli fa desiderare che il tempo corra sempre più veloce. Verso la fine dell'attesa, venga essa con la liberazione o con l'oblio.
Titolo e contributi: L'ultimo giorno di un condannato / Victor Hugo ; traduzione e cura di Donata Feroldi
Pubblicazione: Milano : Feltrinelli, 2012
Descrizione fisica: 173 p. ; 20 cm
ISBN: 9788807822605
Data:2012
Lingua: Italiano (lingua del testo, colonna sonora, ecc.)
Paese: Italia
Sono presenti 1 copie, di cui 0 in prestito.
| Biblioteca | Collocazione | Inventario | Stato | Prestabilità | Rientra |
|---|---|---|---|---|---|
| CISANO BERGAMASCO | 843.8 HUG | CIS-31910 | Su scaffale | Prestabile |
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È un libro che fu pubblicato anonimo nel 1829, ma facilmente riconducibile al suo autore Victor Hugo, visto l'impegno sociale che traspare in molte sue opere. Qui si esplica come denuncia nei confronti di un'istituzione legislativa abominevole, molto in voga in quegli anni: una vera e propria requisitoria contro la pena di morte. La narrazione è in prima persona ed è il prigioniero che dà direttamente voce al proprio dolore ed alle proprie paure. La sua identità rimane anonima: non ne conosciamo né il nome né il delitto di cui si è reso colpevole, e questo anonimato rende ancora più semplice trasmettere un dolore universale e condiviso. Il prigioniero non fa altro che struggersi per l'unica idea che rimbomba nella sua mente: "condannato a morte". Non fa altro che rimpiangere in modo nostalgico la libertà ed in tempi passati, da cui riaffiorano dolci ricordi. La scrittura di Hugo è molto evocativa, emotiva; ha la grande capacità di trasformare i sentimenti, anche negativi, in bellissime immagini. Si può notare il cambiamento del carcerato che passa dalla ricerca della luce e della bellezza che ancora lo circonda, che si manifesta anche in un semplice raggio di sole all'offuscamento di ogni cosa, in tinte sempre più cupe e funeste. Questo cambiamento indica il passaggio dall'attesa della sentenza, in cui baluginava ancora della speranza, al suo nefasto esito. Molto belle sono le descrizioni della prigione, che viene personificata in un terribile mostro che lo opprime, in una cella che lo delimita in una "scatola di pietra": tutto intorno a lui è prigione. La sua è una denuncia nei confronti di chi l'ha condannato e di chi gioisce della sua sorte, perché incapace di comprendere il dolore morale a cui lo sottopone. Molto forte è la sua disperazione: chi lo condanna è consapevole di essere responsabile di lasciare "vedove" una madre, una moglie e, soprattutto, una figlia? Pensiero più che legittimo, ma che personalmente mi viene da contestare: perché questo carcerato non si pone la stessa domanda quando potrebbe essersi macchiato della stessa colpa, privando a sua volta una famiglia della stessa figura in caso di omicidio? Interessante anche la scelta lessicale di Hugo, che utilizza parecchi termini del gergo carcerario: quello che mi ha maggiormente colpita è "sposare la vedova (essere impiccato), come se la corda della forca fosse la vedova di tutti gli impiccati". Incisive anche tutte le considerazioni e le riflessioni sulla morte: forte è il timore che traspare di fronte all'ignoto, perché nessuno è mai tornato dal trapasso per assicurare che non fosse doloroso. Una bellissima lettura, che ho davvero apprezzato per la scrittura, mai ostica nonostante l'opera datata, nonostante la mia fatica a provare pena per il condannato: non che sia favorevole alla pena di morte, ma mi risulta difficile cancellare il disgusto per chi si macchia di un delitto grave. Mi spiace se con me Victor Hugo possa fallire nel suo intento e nella sua sensibilizzazione, ma sicuramente non ha fallito nel riuscire a farmi apprezzare il suo stile, aldilà del contenuto.
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